“Vivo in questa casa da tre anni e non ho mai preso un caffè con i vicini. Ti è mai capitato di non avere nessuno con cui prendere un caffè?”
M.
M. viveva con la sua famiglia in Macedonia, dove era una commercialista. Decide di venire in Italia
per dare più opportunità di studio e lavoro ai suoi figli, in particolare al più piccolo, che ama molto
questo paese. Quando arriva non conosce nessuno e soprattutto non parla italiano. È difficile trovare
una casa – vengono ospitati in diverse strutture, ma per periodi limitati – e anche il lavoro manca:
M. accetta impieghi come badante, donna delle pulizie o bracciante in campagna, ma il compenso è
sempre molto basso e non basta per coprire le spese. È costretta a vendere la sua casa in Macedonia
e suo figlio deve lasciare la scuola prima del diploma per iniziare a lavorare. La figlia riesce a
ottenere una borsa di studio e si trasferisce in una residenza universitaria, ma anche per lei non è
facile: durante una telefonata, la ragazza confessa alla madre che sta mangiando pasta scondita
perché non può comprare nient’altro. Per M. è un momento terribile, si sente inadeguata come
madre perché non riesce a sostenere i suoi figli.
La svolta arriva nel 2013, quando M. partecipa ai cantieri di lavoro organizzati dal Comune e
comincia a fare dei turni in cucina in una casa di riposo. Il lavoro aumenta sempre di più, M. impara
meglio la lingua e prende dimestichezza con la cucina italiana. Quando una collega si mette in
aspettativa, i suoi turni aumentano, ma lo stipendio è sempre basso, circa 6€ l’ora: deve lavorare
giorno e notte per riuscire a mantenere la sua famiglia.
Nel 2018, M. cerca un appartamento dove andare a vivere con il figlio, ma tutte le agenzie la
respingono: «Tu hai pochi soldi», le dicono, anche se lei potrebbe permettersi l’affitto.
In quello stesso periodo, comincia le pratiche per ottenere il permesso di soggiorno di lungo
periodo: ogni volta le viene detto che manca qualche documento, ma nessuno le spiega come
risolvere il problema.
«Mi hanno trattata peggio di un cane» racconta.
Dopo l’ennesimo tentativo fallito, torna accompagnata da una volontaria. Improvvisamente
l’atteggiamento degli impiegati cambia: nel giro di poche ore il misterioso problema con i
documenti è risolto e in poco tempo le viene rilasciato il permesso. Senza il supporto di una persona
italiana probabilmente non l’avrebbe mai ottenuto.
Oggi M. lavora ancora nella stessa casa di riposo, sua figlia si è laureata in architettura con ottimi
voti e vive con il marito in Germania, mentre suo figlio è riuscito a diplomarsi e sta anche pensando
di frequentare l’università part time, continuando a lavorare. Lo stipendio di M. è sempre basso, ma
le piace l’ambiente della RSA perché gli ospiti sono credenti, come lei, e gentili. Una gentilezza
che, come ha provato sulla sua pelle, non è scontata. Molte persone, negli anni, l’hanno insultata
perché non parlava bene la lingua o l’hanno accusata di “rubare il lavoro” agli italiani:
«All’inizio mi feriva, pensavo che avessero ragione. Ma ora credo che nessuno dovrebbe essere
trattato in quel modo perché il mondo è di tutti, abbiamo tutti lo stesso sangue e Dio è uno per
tutti».
Quello che le manca della Macedonia è l’ospitalità e la facilità nel fare amicizia, quando viveva lì
aveva sempre qualcuno con cui prendere il caffè, mentre qui le persone le sembrano più fredde:
«Vivo in questa casa da tre anni e non ho mai preso un caffè con i vicini. Ti è mai capitato di non
avere nessuno con cui prendere un caffè?».