no al razzismo

Intrecci di Storie – L’Africa non è un Paese

A. non si presenta. Dice che non serve perché siamo qui per parlare di altre cose, vuole parlare del lavoro. Sta lavorando in un’azienda di Carmagnola che si occupa di serramenti: tapparelle, porte e zanzariere. Lavora lì da un anno e quattro mesi. Si trova bene, ci sono lati positivi e negativi: il lavoro è lavoro e non può essere tutto perfetto.

La prima cosa positiva è che sta facendo un’esperienza utile in Italia, ma non solo: potrebbe andare in Germania, per esempio, e fare lo stesso lavoro. In più gli sta facendo capire come ci si deve comportare quando si lavora con tante persone, come comunicare con i colleghi. Non è semplice, soprattutto lavorando con persone con cultura, esperienza e comportamenti diversi, ma per A. il lavoro è collaborazione.

Un aspetto negativo, invece, sono le persone che vogliono sempre controllare il lavoro degli altri, anche se non è loro compito, perché dovrebbe farlo il responsabile.

Aveva già fatto questo lavoro prima, ma ora è in un altro continente e la lingua e i materiali sono diversi. Inoltre qui c’è un magazzino, bisogna fare consegne anche fuori Piemonte e abituarsi a lavorare con tante persone. Vorrebbe continuare perché è un lavoro che gli piace. Forse un giorno potrebbe cambiare azienda, magari spostarsi in un altro posto più importante e cambiare un po’ la sua vita, solo questo.

rifugiati trovano lavoro

Quando A. è fuori per lavoro, se qualcuno gli dice delle frasi razziste, non le prende sul serio. I colleghi gli chiedono perché. La sua risposta è che chi dice quelle cose non sa di cosa parla. Se tu guardi un telefono, dice A., puoi sapere di che marca è, ma non sai cosa significa, dove è stato creato e da chi. Sai solo un nome. È così anche per le persone razziste: loro non sanno. Gli africani non sono tutti uguali. Molte persone pensano all’Africa come a un unico paese, dove tutti hanno la stessa lingua, la stessa etnia. Invece solo nel suo paese, la Guinea, ci sono quarantacinque etnie differenti e tantissime culture e modi di mangiare. Gli africani sono tutti diversi, come in Europa i francesi sono diversi dagli italiani.

Quando A. subisce degli episodi di razzismo, pensa sempre alla famiglia del suo datore di lavoro, di origini calabresi. Invitano sempre a casa lui e gli altri ragazzi africani che lavorano nell’azienda, mangiano e prendono il caffè insieme. Li trattano come se fossero i loro figli. In un anno e quattro mesi non hanno mai gridato contro di lui, se fa un errore gli parlano con calma, gli dicono che deve stare tranquillo, che piano piano ci arriverà. Quando A. sente delle parole razziste, pensa sempre a questo esempio positivo.

A. è arrivato in Italia nel 2016, era giovane e c’erano tante cose che non sapeva. Aveva un po’ paura perché questo è un paese diverso dall’Africa, tutti sono più indipendenti. Adesso ha imparato che qui può vivere tranquillamente, ma deve essere autonomo. Non era abituato a questo. Il progetto di Karmadonne ha aiutato tanto lui e gli altri ragazzi accolti ad essere autonomi, a sapere cosa devono fare e a non avere paura.

A. è venuto in Italia perché era il primo posto in cui poteva arrivare dal suo paese, dove non aveva libertà di parola e non poteva studiare. La sua famiglia era povera. Sapeva che in Europa avrebbe trovato degli stati di diritto e avrebbe potuto avere un futuro, dato che era giovane. Questo è il motivo che ha spinto lui e tanti altri a venire in Italia. Arrivato qui, ha trovato un paese in cui è importante essere autonomi, dove non puoi aspettarti che gli altri risolvano i tuoi problemi. Devi venire qui e comportarti nel modo giusto, dice. Devi essere bravo: se sei bravo e frequenti la scuola puoi vivere come vivono gli italiani.

Secondo A., la prima cosa che gli italiani dovrebbero sapere della Guinea è che lì il futuro delle persone è bloccato, ci sono politici che non sanno niente e fanno le cose solo per interesse personale. La Guinea ha tanti problemi politici e di divisioni etniche, bisogna sempre misurare le parole perché quelli che sono al governo ti maltrattano se parli liberamente. Per questo lui è venuto qui. Grazie al progetto è riuscito a ricostruire la sua storia e ha ottenuto un permesso di soggiorno di cinque anni per motivi politici.

A. trova un po’ strano che le persone si chiedano perché i migranti vengono in Italia. Gli europei dovrebbero sapere che vengono qui anche per colpa loro. Spesso si pensa che gli stati africani siano indipendenti e sovrani, come qui, ma non è vero. Infatti non possono prendere decisioni senza l’autorizzazione di altri paesi, come l’Italia o la Francia. I politici italiani lo sanno bene, ma tante persone che lavorano o studiano in Italia non lo sanno. Si dice che lo schiavismo in Africa è finito, ma secondo A. non è così, perché i paesi africani non possono fare niente senza l’Europa, soprattutto dal punto di vista economico. La Francia sta guadagnando miliardi ogni anno sulle spalle dell’Africa.

Lui è venuto qui perché nel suo paese non si può avere una vita tranquilla, non c’è libertà di espressione, non si possono esercitare i propri diritti. Quando hai un problema nessuno ti aiuta, non come in Italia. Per esempio adesso, con il coronavirus, chi era a casa dal lavoro poteva avere la cassa integrazione: in Africa questa cosa non esiste, è un problema anche trovare da mangiare. Qui il Comune ha dato le buste con gli alimenti a tutti, non importava se erano africani o no.

Secondo A., la maggior parte dei migranti viene qui per trovare un posto dove stare bene e basta. Molte persone, però, quando li vedono in giro, credono che stiano facendo qualcosa di illegale, come vendere droga. Lui conosce persone che non fumano neanche le sigarette, che se vedessero la droga non saprebbero nemmeno cos’è.

Riguardo al futuro, A. pensa che si debba avere un obiettivo, questa è la prima cosa importante. Non sai se lo raggiungerai, ma devi averlo.

Lui è arrivato qui in Italia, ha aspettato di ottenere i documenti e ora vive con un amico in una casa dove sta pagando l’affitto con i suoi soldi. Pensa che adesso può stare un po’ tranquillo, poi forse dovrà pensare di vivere con altre persone o di fare altre cose.

Si sente a casa a Carmagnola, senza dubbio. È qui da quattro anni e non ha mai avuto problemi con nessuno, non ha mai litigato con gli italiani, nessuno gli ha mai gridato contro. Il figlio del suo capo, racconta, lo vede come un italiano, non come un africano. Vanno sempre in giro insieme e a volte escono anche con i suoi amici, vanno a Moncalieri e a Torino: anche loro non lo vedono diversamente, gli parlano come a un italiano. Secondo lui in Italia i giovani sono in gamba.

Dove vive adesso c’è una signora con la sua famiglia che tratta lui e il suo coinquilino come se fossero i suoi figli. Dice loro non preoccuparsi, che tutto si può risolvere insieme. Questa è una cosa positiva.

Riguardo le proteste contro il razzismo negli Stati Uniti, pensa che serva una strategia, perché in America i poliziotti ammazzano da sempre gli afroamericani, non è una cosa nuova. Obama era nero, ma succedeva anche con lui. Però ci sono persone afroamericane che lavorano negli Stati Uniti, sono militari, poliziotti o governatori. Chi deve combattere questa cosa se non loro?

In Africa cose come quella che è avvenuta in America succedono sempre, i poliziotti usano le armi contro i cittadini, se parlano troppo. Bisogna stare zitti, non si può nemmeno parlare di razzismo, non si può uscire a fare una manifestazione. Quest’anno in Guinea i poliziotti hanno ammazzato tante persone che dicevano che il sistema politico non era giusto, che protestavano perché non avevano lavoro, scuola e sicurezza. Se dici queste cose ti ammazzano, ti mettono in prigione o ti mandano via.

Quante persone vengono uccise in Africa? Vengono ammazzate ogni giorno. Ammazzano bambini, ammazzano le persone come animali. Due settimane fa c’è stata una piccola manifestazione e un poliziotto ha ucciso una donna incinta. Perché il mondo non parla di questo? Perché si parla solo di quello che succede in America? Quella donna incinta cosa ne sapeva di politica?

Se una cosa succede in America, tutti la vedono come la fine del mondo, ma questo non è giusto. I problemi partono dall’Africa. Non si può curare una malattia se non si conosce la causa, non si può parlare solo di razzismo, bisogna guardare a quello che succede in Africa e risolvere i problemi che ci sono lì.