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“Storia di B.”

“La prima parola che ho imparato in italiano è stata: bugiarda”

B. vive in Perù e non vorrebbe lasciare il suo paese, dove lavora nella pubblica amministrazione,

ma, per motivi personali e di lavoro, decide di trasferirsi in Italia. È una persona a cui piace avere le

idee chiare, vuole sapere sempre a cosa andrà incontro, per questo, prima di partire, si informa e si

assicura di avere un posto dove stare.

Una volta arrivata qui, però, le sue certezze crollano: le persone che avrebbero dovuto ospitarla si

tirano indietro, dicendo che la loro casa è già troppo affollata, e scopre che il suo pass per gli

spostamenti ha una scadenza più breve di quanto pensasse, quindi non può tornare indietro.

La prima sera in Italia si trova quindi sola e senza un posto dove andare. Le prime persone a cui

chiede aiuto non le credono: «La prima parola che ho imparato in italiano è stata “bugiarda”».

Fortunatamente, riesce a trovare ospitalità in un convento di suore e comincia subito a studiare

l’italiano e a cercare lavoro. Trova posto come badante a tempo pieno in un paesino di provincia,

poi si sposta a Torino. Qui, però, arriva un’altra doccia fredda: la signora di cui si occupa è molto

controllante, le dà regole rigide anche su cose semplici, come accendere le luci, e le impone di

andare a dormire solo in determinati orari. Anche il cibo scarseggia: B., abituata ai pasti abbondanti

peruviani, ha sempre fame ed è costretta a usare il suo stipendio per comprare il cibo. Ricorda in

particolare un giorno in cui doveva preparare degli agnolotti e la signora l’ha costretta a cuocerne

solo sei per piatto.

Resiste per tre mesi, poi cerca un altro posto, ma ogni volta è difficile abbandonare le sue abitudini

per adattarsi a quelle delle case in cui lavora. In alcuni casi le capita addirittura di doversi fare la

doccia di nascosto. Dopo sette mesi, a causa di queste difficoltà e della mancanza dei figli, decide di

tornare in Perù.

Gli stessi motivi che l’avevano spinta a partire la prima volta, però, la costringono a venire

nuovamente in Italia. Anche questa volta le cose non vanno bene: soffre per la lontananza della

famiglia e per il fatto di dover rimanere sempre chiusa in una casa non sua. Ancora una volta, cede

e torna nel suo paese di origine, anche se sa che non potrà rimanerci a lungo.

Oggi B. vive in Italia, ha un marito ed è riuscita a ricongiungersi con i suoi figli. Lavora duramente

giorno e notte, nonostante una serie di dolori, per mettere da parte i soldi che le servono a tornare

periodicamente in Perù. Sa che qui in Italia non avrà una pensione, ma vuole costruirsi la possibilità

di passare la vecchiaia nel suo paese, che le manca molto: «Lì le persone sono più solidali, non

manca mai un piatto in tavola, se vai a casa di qualcuno all’ora di pranzo si divide quello che c’è».

Nella sua esperienza qui in Italia ha visto che c’è una forte cultura del volontariato, ma non sempre

 

la generosità è genuina: «Alcune persone dicono di voler aiutare gli altri, ma quando si trovano

davanti una persona bisognosa in carne e ossa si tirano indietro».

B. pensa che sia giusto cercare di aiutare chi è in difficoltà, ma quando si parla di paesi diversi

bisogna conoscere la cultura e le abitudini del posto, altrimenti tutti gli sforzi saranno inutili: «Se

mandiamo cibo per i bambini, per esempio, dobbiamo sapere cosa sono abituati a mangiare,

altrimenti non serve a niente. Una volta una signora peruviana mi ha invitata a casa sua e mi ha

preparato un risotto con le zucchine. Voleva farmi provare un piatto italiano, ma in Perù non siamo

abituati a mangiare il riso in questo modo e quella “pappetta” mi sembrava disgustosa. Ci sono

voluti mesi prima che imparassi ad apprezzarlo».