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“Storia di A.”

“Per essere italiani non serve avere la pelle bianca, non ho letto questa regola nella Costituzione”

A. ha quarant’anni e, ormai, ha vissuto più tempo qui in Italia che nel suo paese di origine (la

Repubblica Democratica del Congo). Quando è arrivata aveva quattordici anni ed è stata inserita in

terza media perché non conosceva la lingua. La sua preparazione, però, è molto buona e le

piacciono in particolare le materie scientifiche come chimica e matematica. Così, quando arriva il

momento di scegliere la scuola superiore, chiede di frequentare il liceo. In Congo, infatti, questi

istituti sono molto costosi, mentre qui avrebbe avuto la possibilità di coltivare la sua passione. Gli

insegnanti, però, sono scettici, anche se i suoi voti sono ottimi, le consigliano di scegliere percorsi

diversi. Ma lei non ci sta: «Perché avrei dovuto accontentarmi?».

Sua madre, conoscendo la sua determinazione, le dà la possibilità di provare.

All’inizio non è semplice: gli insegnanti spiegano in italiano, lei prende appunti in francese e poi,

tornata a casa, traduce tutto usando il vocabolario. I lunghi pomeriggi passati a studiare, però, danno

i loro risultati: la prima pagella è ottima, tanto che sua madre la porta ai suoi vecchi professori per

dimostrare che il liceo è stato la scelta giusta.

Nel periodo scolastico, A. non ricorda di aver vissuto episodi di razzismo: «Tutti mi guardavano e

mi chiedevano cose assurde, per esempio se in Africa vivessimo sugli alberi. Ma non c’era

cattiveria nelle loro domande, solo curiosità: all’epoca non c’era ancora molta immigrazione e molti

di loro non avevano mai conosciuto una persona non bianca».

In generale, non pensa di aver subito discriminazioni vere e proprie, ma qualche episodio sporadico

c’è stato. Per esempio, in occasione dei mondiali del 2006, lei e sua sorella (nata e cresciuta in

Italia) scendono in piazza con una bandiera italiana per festeggiare la vittoria. Un uomo dice loro

“Che cazzo festeggiate?”, dando per scontato che non possano essere italiane. Per fortuna sua

sorella, come lei, ha la risposta pronta: «Sono più italiana di te, che sei un idiota».

Un altro momento in cui ha sentito di essere trattata diversamente è stato quando ha cominciato a

cercare casa con il suo attuale marito, qui a Carmagnola. Tramite un’agenzia avevano visitato un

appartamento, ma, al momento di firmare il contratto, l’impiegato riferisce loro che la proprietaria

non vuole stranieri, perché in passato ha avuto esperienze negative. È l’ennesimo no, e A. comincia

a pensare che non troveranno mai una casa. Si siede di fronte all’impiegato e lo guarda dritto negli

occhi: «Io sono stata anche all’estero, in Francia e in Belgio, sai qual è la parola che sento sempre

quando dico che sono italiana? “Mafia”. Eppure gli italiani non sono tutti mafiosi. Non è giusto che

io debba pagare perché altri si sono comportati male».

Così l’impiegato, a cui avevano fatto da subito una buona impressione, riesce a convincere la

 

proprietaria a fare un contratto temporaneo, per vedere come vanno le cose. Neanche a dirlo, il

“periodo di prova” va benissimo e A. rimane in quella casa con il marito per diversi anni.

In un’altra occasione, A. si imbatte nel profilo Facebook del padre di una compagna di classe di sua

figlia. È in buoni rapporti con lui, ma rimane colpita nel vedere che ha condiviso un post di insulti

verso la ministra Cecile Kyenge, di origini congolesi.

«Non me la sono sentita di fare finta di niente, perché non la stava giudicando per il suo operato, ma

per il colore della pelle, che è lo stesso mio».

A. decide di commentare e sotto il post si scatena una discussione, dove alcuni utenti la sostengono,

ma altri proseguono con gli insulti. A lei, però, non mancano gli argomenti per rispondere ai luoghi

comuni che vengono utilizzati: non ha senso dire che gli stranieri vengono in Italia per comandare,

perché siamo una democrazia e allo stesso modo è stupido parlare di posti di lavoro rubati, perché si

viene assunti in base alle proprie capacità e non al colore della pelle. «Per essere italiani non serve

avere la pelle bianca, nella Costituzione non c’è questa regola» aggiunge.

Quando incontra l’autore del post davanti alla scuola, l’uomo si scusa dicendo che non intendeva

offenderla e che per lui i politici dovrebbe bruciare tutti, ma lei precisa: «Dici che sono tutti uguali,

ma hai insultato solo Kyenge perché è nera, e io sono nera come lei».

Nonostante queste esperienze, ad A. piace vedere le cose in modo positivo: «Personalmente capisco

che ci possa essere diffidenza all’inizio, ma, se non dai alle persone nessun motivo per lamentarsi,

alla fine quel muro crolla».

Con il passare del tempo, pensa, le persone di rassegneranno, perché la migrazione è un processo

inarrestabile. In altri paesi, in cui sono più abituati a questo fenomeno, le cose stanno già andando

molto meglio.

«I bambini della generazione di mia figlia abbatteranno i muri, sono abituati ad avere compagni di

altre nazionalità e per loro le differenze non esistono».