La seconda persona che si è raccontata per questo progetto è F., che ha fatto l’esame di terza media solo qualche giorno fa e occupa il suo tempo libero leggendo e studiando nuove lingue.
Mi chiamo F. e ho quasi quindici anni. Vivo con mia madre e mio fratello, che ne ha 21. L’altro mio fratello e mio padre vivono in Marocco. Una volta ho chiesto a una mia amica di descrivermi con una parola e lei ha scelto kachupa perché è il nome di una zuppa che contiene tante cose.
Sono di origini marocchine, ma ho fatto le elementari in Libia, nella capitale, Tripoli. A metà della sesta elementare (lì le elementari durano sei anni) sono arrivata qui in Italia. Sono stata prima in Sicilia, solo una notte, poi sono arrivata nel centro di accoglienza di Torino. Erano dei giorni brutti. Non ho avuto una cattiva impressione delle persone, però vedevo solo la polizia ed erano tutti molto seri. Dopo sono andata a Coazze. Lì le persone erano molto anziane ed erano un po’ fredde, però comunque c’erano delle amiche che volevano aiutarmi e volevano farmi uscire di casa. Io ero un po’ timida, mi vergognavo, avevo paura di sbagliare a parlare. Anche a scuola avevo delle persone che mi aiutavano, usando i gesti. Io dicevo sì a tutto. Se mi avessero chiesto “vuoi morire?”, avrei risposto “sì”, perché era l’unica cosa che sapevo dire. A Coazze abitavamo con delle persone africane quindi non sono riuscita a imparare l’italiano tanto velocemente. Dopo ci siamo spostati a Nichelino e vivevamo con una famiglia armena. Lì ho iniziato a studiare seriamente.
Il mio arrivo in Italia ha coinciso con un’età un po’ diversa: l’età della crescita, dell’adolescenza, quindi mi sentivo meno sicura di me stessa, non sapevo cosa fare. Cambiare tutte quelle cose all’improvviso era un po’ difficile. La situazione è migliorata quando sono arrivata a Carmagnola perché a scuola ho iniziato a studiare come gli altri ragazzi, anche se comunque in un modo speciale perché i professori si confidavano con me, mi amavano. Mi sono fatta anche degli amici velocemente. A Carmagnola ho sentito un clima amichevole, anche perché finalmente abbiamo avuto una casa da soli, mentre prima, vivendo sempre con altra gente, non c’erano spazi privati.
Carmagnola è più piccola di Nichelino, tutti si conoscono tra loro, quindi per me era più facile comunicare con la gente. Però la differenza dipendeva anche da me stessa: piano piano mi sono aperta, sono diventata più socievole, e questo mi ha aiutata.
Secondo me c’è molta differenza tra Carmagnola e gli altri posti dove ho vissuto. C’era differenza anche tra Libia e Marocco – perché in Marocco siamo più aperti al mondo, mentre il Libia sono più chiusi e un po’ più razzisti – ma qui si vede anche la differenza tra la cultura e la mentalità araba e la cultura e la mentalità europea.
Io sono una persona rivoluzionaria, già quando ero piccola non rispondevo “sì” a qualunque cosa mi si diceva. Qui ho trovato un posto migliore per esprimere le mie opinioni: se non voglio fare qualcosa non lo faccio. Ho trovato più libertà anche nel vestirmi come voglio – una cosa che avevo in Marocco, ma non molto in Libia – e nell’essere me stessa perché, anche se magari non tutti sono d’accordo, non c’è una legge che me lo impedisce. Per esempio in Libia una persona bisessuale o omosessuale deve nasconderlo per tutta la sua vita, invece qui si può essere se stessi. Vale anche per il ruolo della donna: là c’è molta diseguaglianza tra donna e uomo. Qui c’è comunque – per esempio adesso, dopo la quarantena, gli uomini vanno a lavorare, mentre molte donne devono rimanere a casa a fare i compiti con i bimbi – però c’è più libertà, la donna può lavorare, essere indipendente e vestirsi come vuole. Anche la questione del cognome: quando una donna si sposa non deve più prendere il cognome del marito. Mi piace anche il fatto che nel vostro linguaggio formale si dà del lei: all’epoca di Mussolini si dava del voi perché lui era molto maschilista, invece adesso non ci si vergogna di dare del lei a un maschio.
Non ho avuto esperienze di razzismo da parte di adulti. Quando ero a Nichelino c’era un mio compagno che mi dava sempre della marocchina e mi prendeva in giro, ma a me non importava molto. Poi c’era anche chi mi prendeva in giro quando sbagliavo a dire qualcosa e rideva. O magari mi dicevano di ripetere una certa parola, io lo facevo ma non sapevo mai se era una parolaccia. Cose da ragazzini. Credo che esistano le persone buone e anche quelle un po’ cattive, soprattutto quando non sono adulte: vogliono solo divertirsi e non pensano che potrebbero far male agli altri.
Non ci sono tante cose che mi mancano perché comunque a Carmagnola ci sono tanti marocchini. Forse la moschea: qui a Carmagnola non c’è, mentre per esempio a Nichelino c’era. Mi piace che la città sia piccola e tutti si conoscano perché quando cammini per strada le persone ti salutano, ti senti come in una piccola famiglia. Questa è una cosa che avevo in Marocco e che mi è mancata per tanti anni, ma qui l’ho ritrovata. Ci sono anche degli aspetti negativi: io per esempio sono un po’ strana, cerco sempre di avere l’aspetto migliore possibile, di essere vestita bene, e ad alcuni questa cosa da fastidio. Ho anche i capelli molto lunghi, quindi quando passo tutti si mettono a guardarmi e a volte mi mette un po’ a disagio. Ma in generale si sta bene. A me piace anche molto Torino e andare nelle città grandi, però sono contenta di avere casa qui, di avere questa vita tranquilla.
Se dovessi tornare a casa mia lo farei per poco, magari per fare turismo, perché quando eravamo lì eravamo poveri e non siamo mai riusciti a girare. Ma per me non si può vivere lì. Ho perso anche l’identità, sai quando si dice: “sono fiera di essere marocchina”? Io non lo sono tanto.
Sono un po’ confusa tra la situazione a casa, dove ho i genitori religiosi e si parla un’altra lingua, e il fuori, dove la gente e il modo di pensare sono diversi. Mi sento un po’ nel mezzo. Mi piace non avere solo un lato da vedere, avere la mente aperta, ma a volte è anche difficile: magari per i miei amici italiani una cosa va bene farla e mia madre invece non vuole. Però sono riuscita a fissare un po’ la mia personalità: a mia madre dico che non può decidere tutto, deve anche accettare che qui c’è una mentalità diversa. Però comunque casa è casa, ti senti un po’ te stessa quando torni lì.
Non ho molto tempo libero, ho tanti impegni. Sono fissata con le lingue, ne conosco quattro: arabo, italiano, inglese e turco. Nel tempo libero studio il turco per conto mio. Mi piace leggere, molto. Sono anche fissata con il cinema e la storia. Mi piace cambiare, mi annoio velocemente. Poi sto facendo questo corso per diventare animatrice in oratorio, anche se quest’anno non potrò per via del coronavirus. Mi è piaciuto molto, mi ha aiutato anche a farmi degli amici fuori da scuola. È una bella esperienza perché ti senti responsabile, ti senti grande, e ci piace sentirci grandi a questa età.
Sto per cambiare scuola, a settembre inizierò il liceo linguistico, e sono un po’ indecisa tra due scelte: impegnarmi e prendere dieci in tutte le materie per riuscire poi a ottenere la borsa di studio oppure accontentarmi del sei nelle materie che non mi piacciono e andare bene nelle altre. Forse la seconda scelta è quella che mi piace di più: è meglio essere felici invece di fare delle cose solo per avere dei titoli.
Da quando ero piccola mi piaceva ballare danza classica e quindi da settembre – anche se è un po’ tardi perché ho già quindici anni – spero di iniziare danza. Vorrei anche iniziare a lavorare, dato che si può lavorare a sedici anni: vorrei diventare il più velocemente possibile responsabile di me stessa perché non mi sento a mio agio a chiedere soldi dalla mia famiglia. L’altro desiderio per il futuro è ottenere i nostri documenti e iniziare la nostra vita slegati dall’associazione.
Sono stata a Roma e vorrei visitare Venezia. Poi vorrei andare in Olanda, visitare Amsterdam, anche solo per il museo di Van Gogh. Poi voglio andare in Corea del Sud, in Giappone e in Turchia. Sto facendo la tesina sulla Turchia: ho fatto finta di fare un viaggio partendo da Instanbul, per poi andare in Cappadocia, a Konya, a Izmir e poi tornare casa. Sono più o meno dodici giorni ed è faticoso perché sono due giorni per ogni città e si viaggia di notte. Instanbul la conoscono tutti, la Cappadocia, invece, è una zona molto particolare perché ha delle rocce che si sono formate nel corso degli anni per la pioggia e per dei cambiamenti sismici, sono bellissime. Konya è la terra del sofismo, che è una corrente religiosa molto filosofica. Poi c’è Fethiye, che è una città sulla spiaggia da cui si può fare il giro in barca di tutte le isole con soli 21 euro. Poi passerò ad Alaçatı, un quartiere di Izmir simile ai quartieri di Venezia, molto tranquillo. Infine passerò l’ultimo giorno a Izmir per fare l’hammam, che è simile a una spa, però tradizionale. Poi tornerò a casa.
Sono fissata anche con le serie turche. Io guardo sempre le serie in lingua originale perché secondo me è fantastico sentire la voce dell’attore, anche se qua in Italia avete dei doppiatori molto bravi. Però capisco che per la gente non abituata è difficile concentrarsi sui sottotitoli e vedere anche gli attori. Invece io sono abituata fin da quando sono piccola, come tutti gli arabi, e questo mi ha aiutato a imparare. Sto guardando anche una serie coreana che si chiama Goblins e affronta temi diversi dal solito, per esempio il tema di Dio: alcuni dei personaggi sono grati a Dio, mentre altri sono arrabbiati con lui. La sto guardando in coreano, ho imparato a dire “ti amo”, “grazie” e “signore”. Mi piace anche guardare i film indiani perché mi ricordano l’infanzia, so anche alcune parole.
Ultimamente ho visto un film che mi è piaciuto tanto, si chiama “Il colore viola” e parla della disuguaglianza delle donne e del razzismo contro i neri in America. Poi amo le serie vintage e mi piace vedere cose di altri paesi, non solo americane. Perché adesso si usa molto la cultura americana, ed è tutto american dream, ma non c’è solo quello.
Io ero un po’ una bambina ignorante prima di arrivare in Italia e non sapevo molto. In italiano sapevo dire solo “pizza” e “ciao”. Immaginavo l’Europa come un sogno, qualcosa di fantastico, e pensavo che l’Italia fosse bellissima. Da una parte sì, per carità, l’Italia è molto bella, però quando sono arrivata ero in montagna e non ero molto soddisfatta, mi annoiavo un sacco. All’inizio gli italiani mi sembravano freddi, non avevano il senso del sarcasmo e mi dava un po’ fastidio. Poi piano piano ho conosciuto delle persone e ho capito che in realtà sono in pochi ad essere così, anzi gli italiani sono anche simili a noi arabi, specialmente nel sud. Pensavo anche che gli italiani fossero come quelli che si vedono nelle pubblicità, che gesticolano sempre. Adesso quando parlo gesticolo anche io.
Sono felice perché quest’anno non abbiamo i compiti delle vacanze. L’anno scorso mi sono ritrovata a settembre con i compiti da fare notte e giorno. Io in Libia e in Marocco non ero abituata ad avere i compiti delle vacanze… perché sono vacanze! Arrivo qua e mi dicono che ci sono i compiti delle vacanze. Non riuscivo a crederci, era un grande incubo per me.
Un’altra cosa che mi ha stupita è che qui il liceo dura cinque anni, mentre in altri paesi dura tre, non so perché a voi hanno aggiunto due anni! Però una cosa bella è che da noi c’è solo scientifico e classico per le superiori, mentre qui c’è musicale, linguistico, artistico e tanti altri, si può scegliere.
Secondo me da quando sono qui sono diventata più matura: passare dall’infanzia all’adolescenza in questo modo anche un po’ duro mi ha fatto scoprire le cose che mi piacciono o non mi piacciono. Sono diventata anche più forte. Prima, se qualcuno mi faceva del male o mi bullizzava, non rispondevo. Adesso sì. Ho scoperto anche il mio lato artistico, cosa mi piace fare nel tempo libero, quali sono i miei limiti. Un’esperienza del genere ti aiuta a maturare molto.
Ho la mente aperta, mi interessano gli altri paesi e le altre culture, forse il fatto di non aver sempre vissuto in Italia mi ha aiutata in questo, però ho pagato un prezzo molto alto, ho avuto tanti crolli psicologici. Forse però ogni cosa si paga in qualche modo.
Storia vera di F., raccolta da Sabrina Quaranta.